Garibaldi politico dopo aspromonte, la sua presenza a Casamicciola
Al grido di “Roma o Morte”, proveniente da tante parti d’Italia, il 9 giugno 1862 Pio IX aveva convocato a Roma Vescovi ed Arcivescovi in un Concistoro, dove senza mezzi termini, aveva ribadito la condanna dell’Unità d’Italia e chiamò usurpatori coloro che operavano per Roma capitale del nuovo Stato. L’intransigenza papale provocò grande malumore all’interno del Partito d’Azione, ed un duro messaggio alla Camera da parte di Vittorio Emanuele II, il 18 successivo.
Garibaldi si sentì tacitamente autorizzato, anche dalla Monarchia, ed alla fine di giugno sbarcò improvvisamente a Palermo. La popolazione lo accolse commossa ed esultante. Il 3 agosto la Sicilia fu piena di manifesti concernenti un proclama reale in cui veniva apertamente sconfessata l’iniziativa dei Volontari Garibaldini. Il timore di una guerra civile indusse molti amici di Garibaldi ad intervenire, invitandolo a desistere dall’azione intrapresa. Il Generale invece era convinto che il Re doveva comportarsi in quel modo per ragioni di politica internazionale, ma che in fondo plaudiva alla sua iniziativa. Dopo circa quattro giorni di marcia, i Garibaldini giunsero sul massiccio dell’Aspromonte. Era il mezzogiorno del 29 agosto 1862. Stanchi stavano riposandosi lungo il pendio, allorché videro avvicinarsi i Bersaglieri. Garibaldi dette l’ordine di non sparare in qualsiasi caso e si mise bene in vista con la segreta speranza che i soldati italiani nel vederlo si sarebbero uniti ai Volontari per procedere tutti insieme alla conquista di Roma. Quale delusione fu per il Generale quando i Bersaglieri incominciarono a far fuoco. Improvvisamente si vide Garibaldi accasciarsi al suolo. Era stato colpito da due pallottole: una al polpaccio sinistro ed un’altra al collo del piede destro. Probabilmente proprio in quel momento Garibaldi si rese conto che non era più sufficiente l’immensa carica ideale di cui era portatore e che l’aveva visto vittorioso nella fantastica impresa dei Mille (dirà Marx: una rivoluzione romantica) ma era necessario accompagnarla con altre iniziative collaterali di carattere strettamente politico/diplomatico. E su questo dovette meditare nel corso della detenzione al Varignano, durante le cure e la estrazione della pallottola dal piede. Come d’altronde nei decenni successivi si scoprirà man mano che sono venuti alla luce i documenti segreti dagli Archivi e dalle Biblioteche. Si alzò dal letto a Caprera nel gennaio 1863. Ci furono messaggi di solidarietà da tutto il Mondo; ma un fatto doveva addolorarlo molto: la morte di Francesco Nullo (“il più bello dei Mille”), che era andato volontario a combattere per la libertà della Polonia contro i Russi (5 maggio 1863). Garibaldi cominciò un lavoro sotterraneo per avvicinarsi a tutti coloro – qualsiasi fosse la loro estrazione ideologica o posizione istituzionale – che erano favorevoli ad impegnarsi per il raggiungimento del suo grande Ideale: l’Unità d’Italia (successivamente l’Unità Europea). Ad un esame superficiale non si direbbe, ma Garibaldi era di una prudenza estrema. Tanto che molte sue iniziative politiche non le comunicava nemmeno ai suoi. D’altronde aveva ben ragione, infatti come si è scoperto successivamente nei vari Archivi, era circondato da spie; perfino il genero Stefano Canzio era pagato dai servizi segreti italiani per controllarlo. Intanto qualche estremista (terrorista) auspicava l’appoggio di Garibaldi per risolvere il problema alla sua maniera: Sara Nathan gli sottopose un piano per assassinare Napoleone III, il principale ostacolo alla occupazione di Roma. Garibaldi respinse inorridito la proposta. Nel frattempo il Generale aveva dato le dimissioni da deputato del Parlamento Italiano per protestare contro la cessione di Nizza (sua città natale) ai Francesi. Per lavorare al completamento dell’Unità d’Italia, respinse incarichi prestigiosi come la proposta del Presidente degli Stati Uniti Lincoln, che gli voleva affidare il comando di un’Armata per combattere gli schiavisti del Sud. Sempre seguendo il suo disegno politico, aveva incontrato Michele Bakunin a Caprera nel gennaio 1864. Il grande teorico dell’Anarchia e rivoluzionario di professione, nei suoi numerosi scritti, lasciò un’annotazione sui contadini poveri della Siberia che speravano nell’arrivo di “Garibaldinov” che li sollevasse dallo stato di servi della gleba. E quando qualcuno domandava loro - a volte ironicamente – chi era “Garibaldinov”, solevano rispondere: « Un grande capo, l’amico della povera gente e verrà a liberarci!». Garibaldi e Bakunin si incontreranno di nuovo a Ginevra nel settembre del 1867 in occasione del Congresso per la Libertà e la Pace. L’abbraccio tra Bakunin che entrava nella Sala e Garibaldi che presiedeva l’assemblea mandò in visibilio tutti i presenti rappresentanti delle varie sfaccettature della sinistra progressista europea: da quella più radicale a quella riformista, che fino a quel momento si erano “scrutati” con diffidenza, se non con livore. Il 26 marzo 1864, improvvisamente Garibaldi lasciava Caprera imbarcandosi sulla nave “Valletta”, proveniente da Marsiglia. Dopo una sosta a Malta, sbarcò in Inghilterra il 3 aprile successivo. Secondo la versione ufficiale (che Garibaldi cercava in tutti i modi di avvalorare), si era recato in Inghilterra a consultare il medico Fergusson per i postumi doloranti della ferita di Aspromonte e per ringraziare gli Inglesi per il sostegno morale alle sue imprese. Garibaldi era bravissimo a disorientare l’opinione pubblica. Tesi avvalorata dopo la pubblicazione del libro “Politica Segreta Italiana” di Diamilla-Muller (la cui prima edizione fu diffusa anonima nella seconda metà dell’Ottocento). Assemblando i documenti in esso contenuti, quelli esistenti presso l’Istituto della Storia del Risorgimento di Roma, quelli rilevati dopo l’apertura dell’Archivio Savoia di Ginevra e quelli della Segreteria Borbonica versati nel dopoguerra all’Archivio di Stato di Napoli, si ha un quadro chiaro dell’azione politico-diplomatica di Garibaldi. E’ da sottolineare che di alcune iniziative teneva all’oscuro persino i suoi più stretti collaboratori del Partito d’Azione. La documentazione ulteriore venuta fuori negli anni successivi giustifica appieno questa sua diffidenza. I due incontri segreti con Mazzini, organizzati dal rivoluzionario russo Alessandro Herzen, la cena privata con lord Palmeston, personaggio chiave della politica inglese dell’epoca e grande statista, poi con lord Gladstone (che negli anni precedenti visitando le carceri di Napoli, ebbe ad esclamare che i Borbone erano la negazione di Dio), con il leader liberale Duca di Sutherland, con Luis Blanc socialista libertario, e tanti altri, sono la prova di un lavorio politico-diplomatico di alto profilo. Nello stesso tempo Vittorio Emanuele II da dietro le quinte teneva contatti riservati (molto riservati) con Mazzini attraverso il suo fiduciario ing. Demetrio Emilio Diamilla Muller, e con Garibaldi attraverso il colonnello Salvatore Porcelli. Intanto il Governo Italiano, per proprio conto, faceva controllare i movimenti di Garibaldi dagli ispettori di Polizia Antonio Guerritore e Raffaele Manzi, nonchè dal genero del Generale Stefano Canzio. Uno dei punti centrali della politica di Garibaldi, era quello di operare per la unificazione delle varie Obbedienze e Logge massoniche, per lui presupposto di estrema importanza per il completamento dell’Unità d’Italia. Lasciò l’Inghilterra anche perché amareggiato in quanto i rapporti con la Massoneria non erano andati secondo i suoi piani. Ma non desistette e proseguì ancora su questa strada. Il 23 marzo 1864 la Costituente Massonica di Firenze (presieduta dal prof. Francesco de Luca) lo nominò Gran Maestro. Ora si trova iscritto a due Massonerie: quella di rito italiano e quella di rito scozzese. Ma il suo piano operativo, iniziato (si fa per dire) in Inghilterra, continuò ad Ischia. Approfondendo, un’altra caratteristica viene fuori dalla “diplomazia garibaldina”: disorientare i servizi di sicurezza e l’opinione pubblica con dichiarazioni ed atteggiamenti, atti a deviare l’attenzione degli interessati. Ma un altro documento riservato dei primi di giugno 1864 – rinvenuto presso l’Archivio di Stato di Napoli - dimostra come rimanevano disorientati gli informatori-agenti di polizia, sempre alle calcagna degli uomini più in vista del Partito d’Azione, per le continue ed improvvise iniziative politiche di questi ultimi, nel senso indicato da Garibaldi. Si tratta di un foglio confidenziale (senza data e senza firma) con cui si comunicava che il 21 giugno 1864 vi sarebbe stato un convegno massonico a Palermo, cui avrebbero partecipato «tutti i capi del Partito d’Azione. Garibaldi fa sperare che vi sarebbe stato anche lui». In esso veniva riportata, altresì, un’affermazione di Giovanni Nicotera secondo il quale, a margine del convegno massonico, sarebbero state anche messe a punto iniziative concrete per il completamento dell’Unificazione Nazionale. Il Prefetto di Napoli si precipitò ad avvertire il suo collega di Palermo ed il Ministro dell’Interno con rispettive riservate, datate 9 giugno 1864, prot. Gab. N. 322/26. L’attenzione delle Autorità e di tutti gli interessati era dunque rivolta verso la riunione di Palermo. Quando si seppe che Garibaldi era sbarcato ad Ischia e non in Sicilia, il disorientamento e la confusione dei servizi segreti e degli avversari politici raggiunsero punte così alte da sfiorare il dramma. Come una corrispondenza da Napoli del quotidiano londinese “The Times” del 21 giugno 1864. Il Generale arrivò nel Porto d’Ischia il 19 giugno 1864 alle undici del mattino, a bordo dello yacht “Undine” del Duca di Sutherland. Il 2 luglio 1864 Garibaldi convocava presso Villa Parodi-Delfino a Casamicciola (allora Grand Hotel Bellevue – Villa Zavota), tutti coloro che lui sapeva favorevoli al completamento dell’Unità d’Italia (acquisizione di Roma e Venezia). Il Generale espose un piano militare di intervento immediato nei Principati Danubiani che avrebbe indotto l’Austria a spostare truppe lontano da Venezia, lasciandola militarmente quasi sguarnita. Tale tattica aveva l’appoggio “riservato” di Vittorio Emanuele II. La Sinistra del Partito d’Azione non era d’accordo, ma non osava dirlo direttamente a Garibaldi. Allora organizzò la pubblicazione di una lettera anonima sulla prima pagina del giornale “Il Diritto” del 10 luglio 1864, rendendo noto il piano che dovette essere ritirato. Per questo Garibaldi partì da Ischia molto amareggiato. Disappunto tanto più cocente in quanto, come si è scoperto di recente presso l’Archivio Savoia di Ginevra, Garibaldi aveva segretamente tutto concordato con Vittorio Emanuele II. Infatti aveva firmato di suo pugno ad Ischia una procura al Colonnello Salvatore Porcelli, fiduciario del Re. Ecco il testo autografo trascritto, di Garibaldi: L’anno mille ottocento sessanta quattro, questo dì ventinove giugno in Ischia (Napoli) Per la presente privata procura da valere come se rogata fosse da Pubblico Notajo, do ampia facoltà al Colonnello Alp. Salvatore Porcelli di comperare dalla Ditta Accostato e C.ia il vapore “La Venezia”a nome mio. Il Colonnello Porcelli è autorizzato a portare il prezzo d’acquisto a lire Dugento cinquanta mila, quale somma sarà pagata ne’ modi stabiliti giusta le istruzioni verbalmente affidategli. F.to: G. Garibaldi Avevano partecipato alla riunione non solo i più stretti collaboratori di Garibaldi e i dirigenti del Partito d’Azione, ma rappresentanti di associazioni operaie, associazioni politico-culturali, società di mutuo soccorso, comunioni, obbedienze, logge massoniche ed altri; comunque tutti muniti di credenziali scritte, specie i rappresentanti della Massoneria. Tutta la stampa fece da cassa di risonanza alle rivelazioni del giornale “Il Diritto”. La opinione pubblica ne fu informata e si scatenò contro Vittorio Emanuele II e contro i consiglieri di Garibaldi. Ormai la spedizione nei Principati Danubiani ed il piano politico-strategico che essa comportava non potevano più essere attuati. Il Savoia, per smentire, di fronte all’opinione pubblica italiana ed internazionale, ogni suo rapporto con congiure segrete, fu costretto ad intensificare i sequestri di armi e gli arresti dei Volontari che ne facevano incetta. In via riservata, poi, fece comunicare a Garibaldi che il piano per i Principati Danubiani doveva ritenersi temporaneamente abbandonato dopo che aveva perduto il carattere di segretezza, condizione indispensabile per la sua riuscita. Garibaldi montò su tutte le furie ritenendo che nella rivelazione del piano c’era lo zampino di Giuseppe Guerzoni. I rapporti tra i due si interruppero ad Ischia ed il Guerzoni, che era stato per tanti anni segretario-biografo del Generale, fu costretto ad allontanarsi per sempre dall’entourage garibaldino. Un’altra iniziativa doveva maggiormente disorientare l’opinione pubblica. Il 15 luglio 1864, presso l’Hotel Vittoria di Napoli, si riunirono ufficiali ed esponenti del Partito d’Azione più vicini a Garibaldi. Era la corrente moderata del Partito che si contrapponeva a quella di sinistra, capeggiata da Guerzoni, Bertani e Mordini, che proponeva di occupare subito Roma e Venezia, senza preoccuparsi di avere contro il Governo italiano e, quel che era peggio, le sue truppe; evidentemente Aspromonte non aveva insegnato nulla! Dalla riunione scaturì la piena identità di vedute con il Generale, consistente nella evidente impossibilità di annettere con la forza allo Stato italiano Roma e Venezia, in disaccordo con la Monarchia e il Ministero. Fu espressa anche la condanna (con due astenuti) della corrente di sinistra del Partito che, sollecitando impossibili rivoluzioni, induceva l’opinione pubblica ad attribuire a Mazzini la responsabilità di qualsiasi folle iniziativa. L’inviato speciale del quotidiano The Manchester Courier, che in una corrispondenza da Napoli del 18 luglio 1864 riportava l’avvenimento, osservava che, essendosi anche gli estremisti garibaldini dichiarati contrari (almeno in pubblico) ad ogni soluzione armata, avevano automaticamente scaricato su Mazzini ogni responsabilità di eventuali azioni militari o di sollevazioni popolari. «É doveroso verso questo gentiluomo – concludeva il giornalista - dire che in una lettera scritta recentemente [da Mazzini] ad un amico a Napoli, egli esprime la sua convinzione che questo non è il momento per intraprendere azioni militari». All’alba del 19 luglio 1864, Garibaldi, accompagnato da centinaia di ammiratori e dalla banda musicale di Forio, si imbarcava sullo Zuavo di Palestro e lasciava definitivamente l’Isola d’Ischia. Un’altra amara sorpresa per il Generale: nell’imbarcarsi si accorse che era scomparsa dalla sua borsa la bozza di un documento da lui redatto con cui motivava l’adesione alle due Massonerie (Era chiaro: l’Unità d’Italia era la dominante assoluta nel pensiero e nell’azione di Garibaldi al di sopra di qualsiasi coerenza contingente!). Non molti giorni dopo, l’otto agosto 1864, inviò una lettera sia alla Massoneria di Palermo sia a quella di Torino, quasi di eguale tenore, rassegnando le dimissioni da Gran Maestro da entrambe, motivandole con «lo stato non buono della sua salute».
Nino d’Ambra
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