Forio: Importante conferenza per 150 anni dell'unita' d'italia, Al Centro di Ricerche Storiche d’Ambra
Nel clima delle celebrazioni e dei centenari, in questo anno così fervido a livello nazionale, e così stimolante anche dal punto di vista etico-civile, in quanto ben lungi dal ridare vita ad una deprecabile paludata enfasi celebrativa, si rivela capace di promuovere una crescente consapevolezza storica, è venuta recentemente ad inserirsi – il 29 dicembre scorso – una meritoria iniziativa del Centro di Ricerche Storiche d’Ambra di Forio d’Ischia, che ha dato vita ad un pomeriggio diverso con un concorso di pubblico superiore alle attese, ritrovandosi numeroso: amici, invitati e cultori di Storia Patria, convenuti da più parti dell’isola d’Ischia, assieme al Presidente, avv. Nino d’Ambra, per concludere i festeggiamenti dei centocinquanta anni dell’ Unità d’Italia e chiudere la raffinata ed esclusiva mostra commemorativa sull’entrata di Giuseppe Garibaldi in Napoli del 7 settembre 1860.
La celebrazione è avvenuta nel segno di una naturale correzione di rotta rispetto a ben note deviazioni ermeneutiche lungamente accumulatesi sull’immagine del nostro Risorgimento: che la sua tersa italianità si è storicamente tradotta in eccessiva grandezza, nel senso che è stato troppo spesso ‘rilegato’ in lussuose confezioni per strenne quasi mai destinate alla lettura o ‘relegato’ nelle antologie scolastiche. Dopo i saluti ai convenuti, il Presidente, con la sua proverbiale chiarezza, ha tratteggiato il bilancio positivo di quest’anno di festeggiamenti del suddetto sodalizio, che ha visto coniugarsi, l’uno dopo l’altro, e a distanza di pochi mesi, i due grandi avvenimenti: l’inaugurazione, nel settembre del 2010, della mostra iconografica e documentaria su Garibaldi con la sfilata per le strade di Forio della banda musicale e di cinquanta partecipanti tutti in camicia rossa, preceduti dall’avv. Nino d’Ambra e da Giuseppe Garibaldi junior, a cui è seguito un interessante convegno di studi e, subito dopo, il grande impegno profuso con successo per i festeggiamenti dei centocinquanta anni dell’ Unità d’Italia. Momenti di toccante emozione si sono avuti, poi, durante la prolusione del Presidente d’Ambra sul tema: « La cena di Posillipo del 1793: gli avvocati protagonisti », quando ha ricordato, quali partecipanti a quel convito, un concittadino: Filippo di Lustro, che, sfuggito rocambolescamente alla ferocia della polizia borbonica, sacrificò la propria vita ad Abukir, il 25 luglio 1799, nelle file dell’esercito napoleonico, vittorioso contro i turchi, ed un giovane pugliese studente in legge: Emmanuele De Deo, che pur di non tradire e rivelare, sotto tortura, i nomi dei partecipanti a quella cena, si oppose addirittura alla volontà pietosa dei genitori. Emmanuele De Deo resta il protomartire del triennio giacobino e anticipò, quale edificante prova di virtù patria, il sacrificio degli eroici martiri della libertà durante la rivoluzione napoletana del 1799. Il commovente ricordo di quei lontani giorni tragici ha fatto da introduzione alla relazione del prof. Luigi Fienga, che analizzando i documenti dell’epoca e la storiografia che ne è seguita, con le varie e alterne interpretazioni fino ai giorni nostri, ha ravvisato in quella rivoluzione l’inizio del fermento delle idee di libertà e di indipendenza nazionale; peraltro ha individuato l’origine dello storicismo e del nazionalismo moderato, che saranno le componenti fondamentali dell’ideologia risorgimentale, nell’opera antiretorica e critica di Vincenzo Cuoco, attore e spettatore di quell’evento. Sono così andati al prof. Luigi Fienga, Socio Ordinario dell’Accademia Petrarca di Arezzo e Membro dell’Associazione Internazionale “Amici di Pompei ”, l’onere e l’onore di proporre all’uditorio di questo importante sodalizio, una rilettura capace di rispondere al preciso bisogno di riscoprire un periodo troppo spesso identificato come simbolo di una cultura che, per essere ricca di anni e di tradizione, sarebbe tout court anche invecchiata. Il relatore ha preso le mosse da un’attenta e puntuale analisi per spiegare le ragioni che mossero i Giacobini napoletani a creare la Repubblica Napoletana. Accostarsi alle vicende delle province meridionali nel 1799 ha significato per il prof. Fienga muoversi in un attento equilibrio tra una lettura nazionalistica, che ha visto nell’insorgenza una rivolta contro lo straniero oppressore e contro coloro che ingenuamente lo sostennero in nome di ideali astratti, incomprensibili per una massa che per definizione non poteva e non doveva avere accesso alla «politica» ; e una lettura sociale, che ha visto invece nell’insorgenza una grande rivolta contadina contro la borghesia terriera dei «galantuomini», astrattamente «giacobini» ma concretamente difensori dei propri esclusivi interessi.
Le citazioni dalle fonti e dai testi del Cuoco, del Colletta e del Lomonaco, proposte da Fienga, più direttamente illuminanti il tema in questione da un lato e l’esigenza di organare dall’altro i passi medesimi in un tessuto espositivo di più ampio ed accessibile respiro, capace di far emergere con tutto il rilievo esistenziale l’inquieta ed inquietante stagione che chiuse, ma non concluse, le discordie e le lotte nel Regno Meridionale, si sono rivelati punti nodali della relazione. Quei fatti, oltremodo noti, tramandatici dai documenti e dalla storiografia dell’epoca, sono stati così sottoposti, dal relatore, al vaglio della revisione critica: dall’epoca murattiana ai giorni nostri, dal conservatore, lealista e reazionario Luigi Blanch al repubblicano Giuseppe Mazzini, al cattolico Alessandro Manzoni; dal profondo riesame di fine ottocento del critico Augusto Franchetti al patriarca della cultura storica fiorentina Pasquale Villari, al grande conoscitore dei legami tra la Storia e la Letteratura Italiana Augusto D’Ancona; dai saggi e memorie sulle biografie dei giacobini napoletani di Benedetto Croce al solido lavoro di Nino Cortese che ha spianato la via ad una comprensione più adeguata di quegli avvenimenti; fino ai recenti studi di Pasquale Villani e di Anna Maria Rao, i quali consapevoli dei problemi della rappresentatività, della profondità e dell’incidenza che le rivoluzioni assumono in rapporto col contesto complessivo della storia, hanno collocato quegli avvenimenti nel più ampio contesto della storia sociale e istituzionale sia del Mezzogiorno che dell’Italia e nel quadro europeo dell’espansione rivoluzionaria e napoleonica. Al relatore, peraltro, non è sfuggito di sottoporre a un’attenta analisi critica il realistico giudizio che Vincenzo Cuoco, attore e spettatore di quell’evento, fa nel suo “Saggio storico” nei riguardi della Rivoluzione definita ‘passiva’ e dei suoi amici giacobini: circa il linguaggio adottato, non solo astratto, ma a volte anche ridicolo nel promulgare proclami diretti al popolo, desideroso di essere solo ben governato. Uomini egregi, più occupati a teorizzare leggi che ad apprestare difese alla neonata Repubblica, impotenti ad opporsi alla inesorabile reazione, che non comportò solo l’eliminazione fisica degli uomini di cultura, quanto il ripudio dell’idea stessa di cultura; di quella cultura completa, pragmatica, tesa ad unire la ragione all’esperienza, che era stata la principale lezione dell’età dei Lumi. Serrata e convincente la conclusione del prof. Fienga, che, prendendo spunto dal giudizio del Croce sull’efficacia nella storia dell’esperimento non riuscito con la consacrazione dell’eroica caduta, ha sottolineato il valore della Rivoluzione Napoletana, la quale, per effetto del sacrificio e delle illusioni dei patrioti, dette ai liberali italiani moderni i rudimenti della saggezza politica; pertanto, ad essa, ancora oggi, occorre rivolgere lo sguardo per cercarvi le origini sacre dell’ Unità Nazionale. Giorgia Panini (Periodico “Ischia Mondo”, maggio 2012, pag.9)
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